Federico Pacini
Attraverso l'opacità del tempo
"Mostra" non è soltanto il titolo del libro, ma un dispositivo conoscitivo.
Mostrare implica un gesto minimo: sospendere il giudizio, rinunciare alla spiegazione, affidarsi all’emergere di forme che non si lasciano pienamente nominare. Il visibile non è dato, ma affiora — e nell’affiorare conserva sempre una parte di opacità.
Il termine "mostra", dalla radice "monstrare", condivide la sua origine con "mostro" (monstrum), ciò che interrompe l’ordine e chiama l’attenzione. Non per farsi comprendere, ma per esistere nella sua discontinuità. In questo senso, la fotografia non è uno strumento di chiarificazione, ma un dispositivo di interruzione: arresta lo sguardo nel punto esatto in cui la realtà smette di coincidere con la sua apparenza.
Nessuna volontà assertiva guida queste immagini. Esse non ordinano, non sintetizzano. Si dispongono nel tempo con la medesima discrezione delle cose minori, che non cercano la centralità ma la durata. Il loro dire si affida all’intervallo, all’incompiuto.
Ogni immagine è una fenditura, un’intermittenza. Ciò che vi appare è spesso ciò che altrove non si vede: il resto, l’avanzo, il marginale. E in questa marginalità si produce una tensione: non verso un senso, ma verso una soglia che non si varca mai del tutto. La dimensione temporale non è lineare o conclusiva: il tempo in queste immagini è sospeso, dilatato, non procede ma si distribuisce, frammentato, attraverso i dettagli, i margini, gli spazi non detti.
Un mondo parallelo, dunque, ma non altrove. Una realtà adiacente, che si distingue non per i contenuti, ma per il regime percettivo che richiede.
Un mondo che non si consegna, ma si trattiene: resiste alla comprensione.
Federico Pacini
Mostra, 2025 (89books)